Rischio di crisi nelle societa’ a controllo pubblico: le raccomandazioni del CNDCEC

di Roberto Ercoli - - 1 Commento

Il Testo Unico sulle società partecipate, approvato con D. Lgs. 19 Agosto 2016, n.175 (entrato in vigore il 23 settembre 2016) e integrato con il D.Lgs. n. 100 del 16 giungo 2017, tra le altre cose, ha stabilito quelli che sono considerati gli elementi basilari dell’organizzazione e della gestione delle società a controllo pubblico.

Si tratta di disposizioni destinate non a tutte le società partecipate da amministrazioni pubbliche bensì espressamente riservate a quelle c.d. “a controllo pubblico”; dunque, secondo la definizione di cui all’art. 2, co. 1, lett. m) del Testo unico, a “società in cui una o più amministrazioni pubbliche esercitano poteri di controllo ai sensi della lettera b)”, vale a dire “la situazione descritta nell’articolo 2359 del codice civile. Il controllo può sussistere anche quando, in applicazione di norme di legge o statutarie o di patti parasociali, per le decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale è richiesto il consenso unanime di tutte le parti che condividono il controllo”.

In particolare la citata normativa ha introdotto, a partire dai bilanci chiusi al 31 dicembre 2016, l’obbligo per le società a controllo pubblico di redigere annualmente una relazione sul governo societario (ai sensi del ex art. 6, comma 4)[1] da presentare all’Assemblea dei Soci chiamata ad approvare il bilancio di esercizio e da pubblicare contestualmente al medesimo.

La citata norma indica espressamente che in tale relazione devono essere analizzati i seguenti aspetti:

  • il programma di valutazione del rischio di crisi aziendale: Ai sensi dell’art. 6, co. 2, “Le società a controllo pubblico predispongono specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale e ne informano l’assemblea nell’ambito della relazione sul governo societario”;
  • la relazione sul monitoraggio e verifica del rischio di crisi aziendale per l’esercizio di riferimento: Ai sensi dell’art. 14, co. 2 “Qualora emergano, nell’ambito dei programmi di valutazione del rischio di cui all’articolo 6, comma 2, uno o più indicatori di crisi aziendale, l’organo amministrativo della società a controllo pubblico adotta senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l’aggravamento della crisi, di correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento. Quando si determini la situazione di cui al comma 2, la mancata adozione di provvedimenti. adeguati, da parte dell’organo amministrativo, costituisce grave irregolarità ai sensi dell’articolo 2409 del codice civile. Il combinato disposto della disposizione in esame e dell’art. 14 è volto a introdurre, per le società a controllo pubblico, strumenti e procedimenti atti a monitorare lo stato di salute della società, facendone emergere le eventuali patologie prima che sopraggiunga lo stato di crisi irreversibile. La società riferisce annualmente su tali aspetti per il tramite della citata relazione sul governo societario;
  • gli ulteriori strumenti di governo societario (previsti dall’articolo 6, comma 3 e 5) oppure le ragioni per cui questi ultimi non sono stati adottati (si sensi dell’articolo 6, comma 5). In particolare Il comma 3 introduce la facoltà, per le società a controllo pubblico, di integrare, in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche organizzative nonché dell’attività aziendale svolta, e fatte salve le funzioni degli organi di controllo previsti a norma di legge e di statuto, gli ordinari strumenti di governo societario con i seguenti altri:
  • regolamenti interni volti a garantire la conformità dell’attività della società alle norme di tutela della concorrenza;
    • un ufficio di controllo interno (internal audit) strutturato secondo criteri di adeguatezza rispetto alla dimensione e alla complessità dell’impresa sociale e chiamato a collaborare con l’organo di controllo statutario in materia di regolarità ed efficienza della gestione;
    • codici di condotta propri, o adesione a codici di condotta collettivi, aventi ad oggetto la disciplina dei comportamenti imprenditoriali nei confronti di consumatori, utenti, dipendenti e collaboratori, nonché altri portatori di legittimi interessi coinvolti nell’attività della società;
    • programmi di responsabilità sociale d’impresa, in conformità alle raccomandazioni della Commissione dell’Unione europea.

Il comma 6 prevede espressamente che in caso di mancata integrazione degli strumenti ordinari del governo societario con i richiamati strumenti, la società è tenuta ad esplicitarne i motivi nella relazione sul governo societario.

Devono essere presenti nella citata relazione anche i seguenti aspetti:

  • la rendicontazione separata dei risultati di gestione nel caso in cui la società svolga attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi insieme con attività svolte in regime di concorrenza (articolo 6, comma 1)[2];
  • le informazioni in merito all’attuazione degli indirizzi impartiti dai soci (in particolare articolo 19 del Testo unico sulle società partecipate);
  • l’adozione di modelli di best practice previsti dall’articolo 6, comma 3 dello stesso Testo unico (nei casi in cui non risultino già previste per legge) relativi a: 1) modelli previsti dalla legge 231/2001, integrati dalla legge anticorruzione 190/2012, e adozione del piano triennale per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza; 2) codice dei contratti pubblici (Dlgs. n. 50/2016) e relativi regolamenti interni; 3) regolamento per il reclutamento del personale;

Considerato che il legislatore del Testo unico ha omesso una descrizione contenutistica della Relazione sul governo societario e ha rimesso alla discrezionalità della singola società sia il contenuto del Programma di valutazione del rischio aziendale, sia la definizione degli indicatori del rischio di crisi aziendale al cui rilievo è collegato l’obbligo di reazione stabilito ex art. 14, co. 2, il Consiglio nazionale dei commercialisti ha provveduto a elaborare il documento Relazione sul governo societario contenente programma di valutazione del rischio di crisi aziendale ex art. 6, co. 2 e 4, DLgs. 175/2016”[3], che contiene al suo interno una serie di raccomandazioni utili per la predisposizione di tali documenti previsti dalla legge e per la selezione degli strumenti che possono consentire di monitorare il rischio di crisi aziendale da parte dell’organo amministrativo della società.


In un prossimo articolo verranno analizzati gli aspetti operativi e la traccia fornita dal CNDCEC per la relazione dell’organo amministrativo della società.

[1] Le società a controllo pubblico devono predisporre una relazione sul governo societario che viene predisposta annualmente, a chiusura dell’esercizio sociale e pubblicano contestualmente al bilancio d’esercizio

[2] Le società pubbliche qualora svolgano attività economiche protette da diritti speciali o esclusivi, insieme con altre attività svolte in regime di economia di mercato devono adottare sistemi di contabilità separata per le attività oggetto di diritti speciali o esclusivi e per ciascuna attività. La disciplina di cui al comma 1 è diretta a favorire un’effettiva trasparenza finanziaria nei rapporti tra l’ente pubblico e le imprese da questo controllate e, conseguentemente, evitare distorsioni della concorrenza. Le imprese che ricevono pagamenti o altre forme di compensazione da parte pubblica per la gestione di attività di interesse pubblico protette da diritti speciali o esclusivi possono infatti operare in concorrenza con altre imprese ed è necessario poter verificare che quanto ricevuto non costituisca un indebito vantaggio e conseguentemente non determini una discriminazione ai danni di altri operatori economici.

[3] Scaricabile al seguente link: http://www.commercialisti.it/Portal/News/NewsDetail.aspx?id=375175af-d619-4b74-8468-5bac223614d0

Aspetti principali presenti nelle raccomandazioni fornite dal CNDC

Il documento elaborato dal CNDC nasce da una collaborazione del Consiglio nazionale con importanti interlocutori istituzionali, e alla sua stesura hanno partecipato esperti in materie di società partecipate e di procedure concorsuali, oltre a rappresentanti della magistratura, del mondo bancario e delle associazioni delle società pubbliche. La ratio è stata quella di mettere a disposizione degli operatori un format finalizzato sia a facilitare l’adempimento degli obblighi di legge sia a consentire agli organi societari di adottare dispositivi idonei a favorire la tempestiva emersione della crisi e la sua corretta gestione.

Per tali motivi e secondo quanto espressamente indicato dallo stesso CNDC il documento deve essere considerato dagli operatori come un supporto, dotato del carattere di obiettività (connesso all’autorevolezza e terzietà dei professionisti coinvolti nella stesura), per facilitare l’adempimento degli obblighi di legge (adempimento a carico in primis sull’organo amministrativo e successivamente sugli organi di controllo e sul rappresentante della Amministrazione pubblica controllante[4]), anche in considerazione delle conseguenze previste in caso di inosservanza[5], nonché dell’interesse generale ad agevolare le società a controllo pubblico a munirsi di dispositivi idonei a favorire la tempestiva emersione della crisi e la sua corretta gestione.

Infatti attraverso lo schema proposto il CNDC ha voluto offrire agli operatori chiamati ad adempiere ai citati obblighi di legge un’impostazione metodologica che, per sua natura, è inevitabilmente basata su principi generali e che per tale motivo deve essere recepita in modo critico attraverso integrazioni, modifiche e/o adattamenti che tengano conto delle specificità della singola azienda (relative sia all’ambiente interno che all’ambiente esterno in cui essa opera).

In termini operativi resta rimesso in ultima istanza agli operatori (esposti alle connesse responsabilità) e cioè, come detto, all’organo amministrativo della singola società, di predisporre il Programma di valutazione del rischio adeguandolo schema del CNDCEC al caso concretorealizzabile anche selezionando, tra gli strumenti valutativi e gli indicatori proposti dal CNDC nel citato documento, quelli che si ritengano dotati di significatività in relazione alle peculiarità della fattispecie, ferma l’opportunità di segnalare sempre le ragioni a fondamento degli scostamenti adottati.

Pertanto la rigida adozione dello schema elaborato dal CNDCEC e la puntuale esecuzione di un’attività di monitoraggio in scrupolosa adesione alle raccomandazioni che seguono non implicano, di per sé, automatico esonero di responsabilità degli organi societari, posto che la ricorrenza di profili di colpevolezza andrà sempre verificata in concreto. Dal documento emerge che il CNDCEC ritiene che la valutazione del rischio di crisi aziendale non possa essere condotta esclusivamente sulla base degli indici di bilancio (che costituiscono uno solo tra i diversi strumenti diagnostici).

Tale orientamento deriva innanzitutto dall’analisi della normativa stessa dalla quale secondo il CNDC emerge la volontà del legislatore di anticipare, in chiave preventiva, l’emersione del rischio di crisi e dunque di favorire la tempestiva individuazione dei segnali che consentono di prevederla quando ancora non abbia raggiunto un grado di irreversibilità e pertanto risulta prospettabile l’assunzione di  quelle misure ritenute essere in grado non solo di evitarne l’aggravamento ma anche e soprattutto di correggerne gli effetti e di eliminarne le cause. Gli indici di bilancio, avendo natura di dati a consuntivo[6], rischiano di offrire un’informazione tardiva che potrebbe determinare il mancato raggiungimento degli obiettivi indicati in precedenza.

Inoltre la norma stessa facendo riferimento esplicito al concetto di “indicatori”, alluderebbe infatti a un concetto di più ampia portata rispetto ai meri “indici” ricavabili dal bilancio, per sottolineare l’esigenza di individuare elementi di allerta in grado di segnalare in modo incontrovertibile o quantomeno probabile una situazione di insolvenza anche solo prospettica.

Pertanto per il CNDC l’attività introdotta ex art. 6, co. 2 e 4 del d.lgs. 175/2016 non può quindi fondarsi solo su modelli di valutazione imperniati sull’utilizzo di valori iscritti in bilancio ma deve inevitabilmente prevedere degli stumenti forward looking diretti a verificare in un’ottica prospettica l’esistenza della capacità corrente dell’azienda di generare flussi di cassa, presenti e prospettici, sufficienti a garantire l’adempimento delle obbligazioni già assunte e di quelle pianificate. A tale scopo è necessario che l’azienda si doti di idonei strumenti di programmazione e controllo di gestione che consentano, anche attraverso il confronto con gli obiettivi di pianificazione, una costante verifica sulle performance economico-finanziarie in corso d’anno, nonché su ulteriori variabili considerate rilevanti nell’ambito dell’attività aziendale.

Tra gli strumenti prioritari di indagine prospettica, il CNDC individua come indicatore più significativo il Debt Service Coverage Ratio (DSCR), che rapporta i flussi liberi al servizio del debito con il debito finanziario che da essi deve essere servito, in un orizzonte temporale minimo stimato in un anno in modo tale da essere coerente con le valutazioni effettuate per il going concern[7].

Un rapporto superiore a 1 è indicatore di equilibrio finanziario come La determinazione del DSCR presuppone però la disponibilità di dati prognostici. In assenza di essi assumono rilevanza gli indicatori sintetici. Si tratta di grandezze singole o più frequentemente parametri,


Il CNDCEC, sempre nell’ottica di valutazione dell’adeguatezza dei flussi di cassa prospettici far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate, propone di prendere in considerazione:

  • il rapporto tra la Posizione Finanziaria Netta (o indebitamento finanziario netto) e l’EBITDA (Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization) o MOL (Margine operativo lordo –  ossia l’utile prima degli interessi, delle tasse e degli ammortamenti delle immobilizzazioni immateriali e materiali) che consente il confronto in via sintetica tra il debito finanziario e una grandezza che è espressione (pur se molto grossolana) dei flussi annuali al servizio dello stesso, con la finalità di dare una prima indicazione di quanti anni potrebbero occorrere a rimborsare il debito;
  • il rapporto tra Posizione Finanziaria Netta (o indebitamento finanziario netto) e NOPAT. Il NOPAT (Net Operating Profit After Taxes) – che corrisponde all’EBIT (Earnings Before Interest and Taxes) o MON (Margine operativo netto) (di solito assunto al lordo dell’ammortamento dell’avviamento) meno le imposte effettivamente pagate è la grandezza economica più prossima al Free Cash Flow from Operation (FCFO) che misura i flussi liberi al servizio del debito (per capitale ed interessi);
  • il rapporto tra debito ed equity (D/E), nel quale per debito si deve intendere il debito finanziario netto. Si tratta di un indicatore volto ad individuare il limite massimo di leva finanziaria ammissibile;
  • il rapporto tra gli oneri finanziari e il margine operativo lordo, che misura la capacità economica di sostenimento del costo dell’indebitamento;
  • lo scaduto nei confronti dei dipendenti, fornitori, erario ed enti previdenziali (overdue). Il ritardo nel pagamento dei debiti dell’impresa costituisce un evidente indizio di difficoltà finanziaria[1]. Nella concreta misurazione dello scaduto, non deve essere trascurato il fatto di uno scaduto fisiologico, ovvero quello scaduto che non comporta alcuna reazione da parte del creditore, né in termini di richiesta degli interessi, né in termini di sollecitazioni dei pagamenti;
  • l’impiego di ulteriori indici di bilancio e indicatori di performance industriale tipici del settore in cui opera l’impresa. Tali indici e indicatori devono essere oggetto di un vaglio critico, anche al fine di individuare il livello di normalità, che tenga conto delle caratteristiche dell’impresa. Al fine di individuare correttamente le caratteristiche dell’impresa è opportuno avere riguardo all’incidenza del capitale fisso propria del settore di appartenenza e dell’impresa, alla natura (normale ovvero invertita) del ciclo di cassa che ne caratterizza l’attività, alla rilevanza delle scorte nel settore di attività, all’ anzianità dell’impresa (che può comportare un maggiore divario tra valori correnti degli assets e loro valori contabili).

Il CNDC raccomanda di affiancare quanto sopra analizzato con l’impiego di un processo empirico ispirato al protocollo operativo elaborato dall’Ordine dei Dottori Commercialisti di Milano nel quaderno SAF n.71[9], fondato su un modello elettronico di adeguata verifica degli elementi segnaletici (early warning) e rating sulla probabilità di insolvenza, con l’accortezza che il ricorso ai diversi indicatori e alla loro ponderazione deve essere giustificato ad hoc con riferimento alle caratteristiche dell’impresa.

Il CNDC fornisce le seguenti raccomandazioni finali relativi alla definizione del programma di valutazione del rischio di crisi aziendale:

  • in presenza di dati prognostici affidabili dovrà essere data la priorità ad essi, nella cennata rilevanza dell’approccio forward looking rispetto a valutazioni retrospettiche;
  • la scelta degli indicatori di bilancio deve essere condotta individuando il nesso tra il rischio di crisi ed i singoli indicatori prescelti, nonché il loro livello soglia adottato. Il suggerimento è quello di adottare un numero contenuto di indicatori illustrando ex ante la significatività degli stessi;
  • la sezione relativa agli indicatori di bilancio potrà essere ulteriormente sfoltita nelle società di piccole dimensioni (sino a ridurla a pochissimi indicatori) nel rispetto del principio della proporzionalità;
  • particolari correttivi potranno essere introdotti in ragione delle specificità connesse al tipo contrattuale a fondamento dell’attività svolta dalla società (appalto o concessione); ovvero, ancora, ad esempio, in relazione alle società in house providing che, rappresentando l’estensione organizzativa e longa manus dell’Amministrazione pubblica, potrebbero richiedere una diversa modulazione del piano sotto il profilo della selezione, calcolo e interpretazione degli indicatori[10].

Il ricorso agli strumenti proposti deve comunque essere sorretto da una motivazione fondata su criteri obiettivi e ragionevoli.


[4] In particolare l’art. 147-quater del Tuel prescrive l’obbligo a carico dell’ente locale socio di effettuare un monitoraggio periodico sull’andamento della società partecipata, al fine di rilevare eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi assegnati e individuare le opportune azioni correttive

[5] Come detto, ai sensi dell’art. 14, co. 2 del Testo unico, la non tempestiva adozione di un provvedimento adeguato configura irregolarità ai sensi dell’art. 2409 cod. civ.; inoltre, la violazione delle prescrizioni in questione è suscettibile di rilevare sul piano della responsabilità dei componenti degli organi societari e delle amministrazioni pubbliche socie, come disegnata dall’art. 12 del Testo unico (a mente del quale “I componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società partecipate sono soggetti alle azioni civili di responsabilità previste dalla disciplina ordinaria delle società di capitali, salva la giurisdizione della Corte dei conti, per il danno erariale causato dagli amministratori e dei dipendenti delle società in house. È devoluta alla Corte dei conti, nei limiti della quota di partecipazione pubblica, la giurisdizione sulle controversie in materia di danno erariale di cui al comma 2 [co. 1]. Costituisce danno erariale il danno, patrimoniale e non patrimoniale, subito dagli enti partecipanti, ivi compreso il danno conseguente alla condotta dei rappresentanti degli enti pubblici partecipanti o comunque titolari del potere di decidere per essi, che, nell’esercizio dei propri diritti di socio, abbiano con dolo o colpa grave pregiudicato il valore della partecipazione [co. 2]”).  

[6] L’analisi di bilancio fornisce una visione retrospettica effettuata con dati sintetici storici (ricavati appunto dai bilanci degli esercizi precedenti) che sono sintomatologici e quindi in grado di esprimere la presenza di indizi ma non anche di escludere la solvibilità nel tempo di un’azienda o anche solo di dare evidenza della probabilità di un’insolvenza futura.

[7] Il principio di revisione ISA Italia n. 570 chiarisce che il presupposto della continuità aziendale si realizza allorché l’impresa viene normalmente considerata in grado di continuare a svolgere la propria attività in un prevedibile futuro (che non può essere inferiore ai dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio) senza che vi sia né l’intenzione né la necessità di metterla in liquidazione, di cessare l’attività o di assoggettarla a procedure concorsuali come previsto dalla legge o da regolamenti.

[8] Ad esempio: 1) esistenza di debiti per retribuzioni scadute da almeno 30 giorni per un ammontare pari ad oltre un quarto dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzion; 2) esistenza di debiti verso i fornitori scaduti da almeno 120 giorni per un ammontare superiore alla metà dei debiti non scaduti.

[9]  Trattasi del quaderno elaborato dalla Commissione Controllo Societario del ODCEC Milano N° 71 “Sistemi di allerta interna. Il monitoraggio continuativo del presupposto di continuità aziendale e la segnalazione tempestiva dello stato di crisi da parte degli organi di vigilanza e controllo societario. Guida in materia di sistemi di allerta preventiva” scaricabile al link: https://www.odcec.mi.it/Ordine/Iscritti/Commissioni_consultive/Commissioni_dell_Ordine/Commissione_Controllo_Societario/quaderno-71

[10] Per queste ultime, ad esempio i crediti commerciali e non nei confronti dell’Amministrazione pubblica controllante, se scaduti, potrebbero essere considerati quali componenti positivi della Posizione Finanziaria Netta nel presupposto che l’Amministrazione pubblica controllante provvederà a renderli disponibili per evitare la crisi dell’impresa ed il riversamento del conseguente deterioramento del merito creditizio sull’ente controllante


Autore dell'articolo
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Roberto Ercoli

Dottore in Economia Aziendale – Esperienza decennale nella revisione legale svolta presso primarie società internazionali del settore. Esperto di tematiche di Audit & Assurance con specializzazioni per le aziende operanti in settori industriali e aziende appartenenti al settore pubblico.

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