La crisi d’impresa costituisce per coloro i quali svolgono la funzione di Sindaco e di Revisore Legale dei conti un “warning”, ossia un segnale di allarme, che deve portare a rivedere la mappa dei rischi e i correlati obiettivi di vigilanza e di revisione. Nei periodi di crisi, infatti, si crea una sorta di tensione tra le esigenze dei diversi stakeholders (si pensi ai rapporti tra impresa e banche, fornitori, finanziatori, tra managers e azionisti) che può portare gli amministratori a redigere bilanci non in linea con i principi normativi e di prassi. La tentazione, a fronte di perdite operative rilevanti e a situazioni debitorie pronunciate, potrebbe essere quella di “edulcorare” le perdite con politiche di bilancio consistenti soprattutto nell’applicazione “spinta” di alcuni criteri valutativi caratterizzanti poste di bilancio che per loro intrinseca natura risentono maggiormente di soggettività valutativa. A fronte dello scenario delineato è possibile che gli imprenditori ricorrano a politiche di bilancio scorrette tendenti ad annacquare il capitale e migliorare la redditività.
La continuità aziendale è il principio base previsto dal codice civile per la redazione del bilancio di esercizio delle imprese in funzionamento. L’art. 2423-bis del codice civile dispone, infatti, che “… la valutazione delle voci deve essere fatta secondo prudenza e nella prospettiva della continuazione dell’attività …”. La mancanza del requisito della continuità aziendale comporta che il bilancio non possa più essere redatto seguendo i principi di funzionamento ma applicando i criteri di liquidazione, ossia di realizzo delle attività ed estinzione delle passività.
I principi contabili italiani non fanno esplicito riferimento al principio della continuità aziendale e non indicano in modo esplicito e chiaro le verifiche che gli amministratori devono fare e come darne corretta informativa nel bilancio e nella relazione sulla gestione. Anche in conseguenza di ciò, gli amministratori spesso omettono di riflettere correttamente nei documenti di bilancio i dubbi in materia di continuità aziendale. I principi contabili internazionali sono molto più puntuali in materia e richiedono agli amministratori di effettuare una valutazione della capacità dell’impresa di continuare l’attività in funzionamento sulla base di tutti gli elementi a disposizione con esplicita informativa di bilancio.
Per quanto concerne l’attività di vigilanza svolta dal Sindaco/Collegio Sindacale di cui all’art. 2403 c.c., il richiamo è alle Norme di comportamento del Collegio Sindacale emanate dal CNDCEC. Relativamente all’attività di revisione Legale di cui al D.Lgs. 39/2010, il richiamo è ai principi di revisione nazionali, in particolare al documento n. 570 relativo alla continuità aziendale (il cosiddetto “going concern”), oltre a numerose comunicazioni CONSOB in materia.
Da ultimo si segnala che CONSOB, ISVAP (oggi IVASS) e Banca d’Italia sono intervenute nel febbraio 2009 con un documento congiunto, in cui si ribadisce l’importanza della osservanza di tale aspetto (Documento Banca d’Italia/Consob/Isvap (oggi IVASS) n. 2 del 6 febbraio 2009).
Il principio della continuità aziendale deve dunque essere considerato come un principio fondamentale nella redazione del bilancio, in quanto dall’esistenza o meno, nel caso specifico, della continuità aziendale dipende l’applicazione degli altri principi di valutazione delle singole poste di bilancio (principi concordi con la continuazione nello svolgimento dell’attività o principi di liquidazione). Si pensi ad esempio alla valutazione delle rimanenze che, in fase di continuità aziendale, sono determinate come il minor valore tra costo e valore di mercato dei beni in giacenza, mentre, in fase di liquidazione (o in situazioni di discontinuità aziendale), si valutano solo a valore di realizzo.
Gli amministratori, i sindaci ed i revisori devono, rispettivamente, nell’espletamento delle proprie funzioni, analizzare, dimostrare e verificare che le prospettive future non siano tali da compromettere il requisito della continuità aziendale e, quindi, la redazione dei bilanci secondo gli ordinari principi.
Tutti i primari organismi di controllo hanno ribadito che per continuità aziendale si intende il fatto che l’impresa continui la sua esistenza operativa per un futuro prevedibile. Non si tratta quindi di una esistenza “pura e semplice”, ma di una “esistenza operativa”. L’ambito temporale di riferimento è individuato nel concetto di “futuro prevedibile”. In genere, per quanto concerne l’attività del Revisore Legale, il riferimento è ad un periodo minimo di dodici mesi successivi alla data di chiusura del bilancio; tuttavia, il citato documento del febbraio 2009 emesso da CONSOB, ISVAP (oggi IVASS) e B.I. precisa che il futuro prevedibile “… non sia limitato ai dodici mesi …”.
Questo significa che per gli Amministratori e per i Sindaci la valutazione della continuità aziendale deve estendersi ad un orizzonte temporale maggiore e normalmente in linea con i piani strategici interni che possono variare generalmente dai 3 ai 5 anni. (…)
In sintesi si può evidenziare che la valutazione della continuità aziendale spetta:
• agli AMMINISTRATORI – nella redazione del bilancio
• ai SINDACI – nella funzione di vigilanza sull’andamento della società
• ai REVISORI – nella valutazione del bilancio per accertare se il documento presenta il quadro fedele.
TRATTO DA : La Circolare del Revisore n. 4 Aprile 2015 – Numero monografico “LA REVISIONE DELLE AZIENDE IN CRISI” con Esempi di relazioni del Collegio sindacale e delle Società di revisione