Il continuo perdurare della crisi economica ha determinando un aumento esponenziale delle richieste di procedure concorsuali, liquidazioni societarie e cessazioni di attività. Ad oggi sono stati pubblicati una infinità di articoli, testi e sentenze sugli strumenti per il superamento della crisi previste dalla Legge Fallimentare ma un argomento di cui si è parlato poco, e di estrema importanza invece è il comprendere se lo stato di insolvenza, o comunque una crisi economico finanziaria della Società, possa decretare un elemento per rendere impossibile il raggiungimento dell’Oggetto Sociale, e quindi determinare una delle cause di scioglimento previste dal Codice Civile (art. 2484).
A tal proposito, con lo Studio 237-2014/I, il Consiglio Nazionale del Notariato, ha effettuato un’analisi approfondita su tale tematica, evidenziando una serie di criticità, sia per gli amministratori, che per quei diritti collegati ad una tipica società di capitali.
Il Consiglio del Notariato fonda lo studio su due elementi:
a) l’oggetto sociale non è da intendere come scopo sociale in quanto questo ultimo rappresenterebbe l’interesse individuale del socio, e quindi lo scopo di lucro. L’oggetto sociale, invece, sembra essere stato interpretato, in base alla lettura congiunta di più articoli del Codice Civile, come una “… attività (programmata o svolta) dalla società…” che va oltre l’economicità dello stesso.
b) con la riforma del diritto societario, la dichiarazione di fallimento non è più una causa di scioglimento per le società di capitali, come invece tuttora è previsto per le società di persone (art. 2308 Codice Civile).
Lo studio, oltre a definire ed interpretare la complessa normativa, evidenzia anche i profili di responsabilità degli amministratori e, a parere dello scrivente, dovrebbero essere valutati anche per il Collegio Sindacale, l’organo preposto alla valutazione della eventuali presenze di cause di scioglimento (Art. 2403).
La responsabilità degli amministratori, in tal caso, saranno riscontrabili sia nei confronti dei soci – i quali potrebbero essere stati privati del diritto inalienabile di “decidere” sul futuro della società di cui sono proprietari – sia nei confronti dei terzi.
Nei confronti di questi ultimi, estremizzando l’esempio, lo scioglimento illegittimo, potrebbe avere il fine di cancellare la Società dal Registro delle Imprese, per evitare il fallimento. In effetti, in base all’art. 10 della Legge Fallimentare si prevede che “... Gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo…”.
Tratto da La circolare del Revisore N. 2 Febbraio 2015