Nelle cessioni d’azienda è elevato il rischio di contenzioso con il fisco italiano, che tipicamente utilizza ancora le controverse diposizioni dell’art. 2 del D.P.R. 460/1996 per il calcolo dell’avviamento ai fini fiscali, che spesso conducono a risultati enormemente divergenti rispetto ai tradizionali metodi valutativi utilizzati dalla prassi.
Le società finanziarie o mobiliari (ad es. le SGR), a motivo della loro specificità, sono spesso escluse dagli studi di settori e quindi maggiormente sottoposte ad una generica normativa, che di solito mal si adatta alle loro peculiarità.
Il sopra richiamato art. 2, comma 4, del D.P.R. 460/1996 dispone che, “per le aziende e per i diritti reali su di esse, il valore di avviamento è determinato sulla base degli elementi desunti dagli studi di settore o, in difetto, sulla base della percentuale di redditività applicata alla media dei ricavi accertati o, in mancanza, dichiarati ai fini delle imposte sui redditi negli ultimi tre periodi d’imposta anteriori a quello in cui è intervenuto il trasferimento, moltiplicata per 3. La percentuale di redditività non può essere inferiore al rapporto tra il reddito d’impresa e i ricavi accertati (o, in mancanza, dichiarati) ai fini delle stesse imposte e nel medesimo periodo”.
La redditività deve riferirsi al ramo d’azienda trasferito: rileva, in tale ambito, il concetto di “Cash Generating Unit”, introdotto dallo IAS 36, che identifica il perimetro della più piccola area di business con autonomia gestionale all’interno della quale si colloca l’avviamento.
Nella sua attività ispettiva, il revisore potrà utilmente controllare l’iter dell’operazione di cessione, ivi incluso l’atto notarile, e le “valide ragioni economiche” ai fini antielusivi, oltre che tutta la documentazione di supporto.